Il tema delle terapie interminabili fu sollevato dallo stesso Freud nel 1938; nel pensiero comune si è consolidata l’idea che la terapia sia una cosa “senza fine” quindi si creano molte resistenze anche a farsi aiutare.
Dai tempi di Freud molte cose sono cambiate, si sono sviluppate anche terapie brevi e i metodi si sono affinati per cui, a parte ovviamente situazioni particolari, il rapporto terapeutico è soggetto alle stesse regole delle altre relazioni interpersonali: un inizio, una fine, in taluni casi una trasformazione in amicizia.
È importante la vera decisione di “voler cambiare qualcosa” e la scelta del professionista, se manca il desiderio di essere accuditi si sviluppano delle resistenze verso il terapeuta e tutto il trattamento; durante l’intero percoso il paziente dovrebbe affidarsi, lasciarsi guidare, anche in modo protettivo, e non vivere la terapia come una dipendenza, ma come un aiuto.
Quando poi il personalissimo spazio personale si avvia al termine, paziente e terapeuta concordano che è opportuno concludere, ne parlano e si scambiano le ultime utili considerazioni; è sempre consigliabile tuttavia parlarne con il terapeuta perchè è la persona deputata all’analisi di questo passaggio.
Per la maggior parte delle persone la fine di una terapia avviene quando la forza dell’Io è sufficiente per affrontare il contesto in cui vivono, in equilibrio fra pulsioni emotive e attività razionali.
Il percorso terapeutico è un cammino di consapevolezza, quindi farsi aiutare senza timore di false credenze permette di non peggiorare la situazione, di darsi il tempo per trovare il professionista giusto, di risolvere prima i disagi.
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